Studio sugli effetti del Neurofeedback sull’ADHD

Studio sugli effetti del Neurofeedback sull’ADHD

Categoria : Studi e news

Uno dei principali studi universitari sugli effetti del Neurofeedback sull’ADHD risale a 2003.

Tra i medici che presero parte al lavoro anche Niels Birbaumer, Professore Ordinario di Neurobiologia Comportamentale e Psicologia Medica all’Università di Tubinga, nonché uno dei principali studiosi del rapporto mente cervello. Le sue ricerche sul Neurofeedback sul potenziale dei corticali lenti, che si basano sui cambiamenti del campo elettromagnetico lo hanno portato a vincere numerosi premi. Tra i suoi risultati più importanti, Birbaumer riuscì a far parlare persone affette da sindrome amiotrofica. Chi soffre di questa terribile malattia perde giorno dopo giorno la possibilità di muovere muscoli, bocca, palpebre.

 

Birbaumer, attraverso questa tecnica, insegnò ai pazienti a modificare i corticali lenti riuscendo a fare andare una palla a destra e a sinistra per selezionare le lettere e comporre delle parole. In questo modo Birbaumer per primo dimostrò che le persone affette da sindrome amiotrofica non erano in coma,  facendole comunicare e scrivere lettere ai propri familiari.

Nel 2003 Birbaumer, insieme a FuchsLutzenberger, Gruzelier & Kaiser studiò gli effetti del Neurofeedback su bambini affetti da ADHD, confrontandoli con pazienti a cui veniva somministrato il Ritalin.

 

Crearono due gruppi di trattamento: il primo di 22 pazienti, sottoposti a training Neurofeedback e il secondo di 12 pazienti, trattati con farmaci. Tutti i ragazzi trattati soffrivano della stessa forma di Adhd.

Dopo 3 mesi di trattamento – che per il Neruofeedback corrispondono a 36 sessioni di 30-60 minuti di training, effettuate 3 volte alla settimana – i bambini avevano raggiunto la stessa condizione. In pratica il Neurofeedback agiva con la stessa valenza del Ritalin, ma senza gli effetti collaterali del farmaco.

 

In particolare, in entrambi i gruppi si riscontrava un significativo miglioramento:
– dei punteggi alle 4 sottoscale del TOVA;
– della velocità e dell’accuratezza al Test d2;
– dei sintomi comportamentali (sia a scuola che a casa);
– del QI.

In questo caso, il risultato del Neurofeedback fu più alto, con un aumento medio di 3,7 punti contro i 2,9 del Ritalin.

Di seguito le slide con i dati dello studio

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Intervista sul Neurofeedback

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