La storia del neurofeedback nell’autismo

La storia del neurofeedback nell’autismo

Categoria : Autismo

Nel 1994, Cowan Markham hanno condotto il primo studio di applicazione del neurofeedback su un gruppo di ragazzi affetti da autismo. In seguito, anche altre studi hanno confermato i risultati positivi del trattamento. Nei test effettuati dai genitori dei ragazzi affetti da autismo, il trattamento con il neurofeedback ha portato a decisi miglioramenti, tra cui una significativa riduzione del 40% della sintomatologia legata ai disturbi dello spettro autistico (ASD). L’esito è stata confermato anche dalla diminuzione di comportamenti di ASD, deficit e sintomatologia.

 

Kaiser e Othmer (1995) riportano che il training con il neurofeedback ha prodotto significativi miglioramenti nella misurazione della mancanza di attenzione, impulsività e variabilità della risposta (test TOVA su oltre 530 ragazzi). Inoltre, si è notato che i principali miglioramenti sono intervenuti nei soggetti con deficit iniziali più gravi.

 

Un altro studio di Rossiter La Vaque (1995) ha mostrato che il neurofeedback è tanto efficace quanto stimolante e può giustificare la scelta di questo trattamento specialmente se il trattamento farmacologico è inefficace, oppure causa gravi effetti collaterali.

 

Sichel, Fehmi Goldstein (1995) hanno concluso che forme di autismo moderate, possono essere considerate come forme di limitazione di attenzione o rigidità a che il neurofeedback, in questi casi, porta ad un risultato positivo.

 

Nel 2002 Betty Jarusiewicz, Ph.D. ha condotto lo studio Efficacia del Neurofeedback per i bambini affetti da disturbi dello spettro autistico (Efficacy of Neurofeedback for children in the Autistic Spectrum: A pilot study, 2002). Alla fine della fase di sperimentazione, il gruppo che aveva seguito il trattamento con neurofeedback aveva mostrato una riduzione del 26% circa, del valore ATEC dei sintomi autistici. La valutazione dei genitori riferisce un miglioramento in tutte le categorie di comportamento e dei sintomi: socializzazione, vocalizzazione, ansia, lavoro scolastico, collera, e sonno, comparate con i minimi cambiamenti del gruppo di controllo.

Anche l’ultimo studio di Robert Coben, Ph.D., e Ilean Padolsky, Ph.D., Valutazioni guida sul Neurofeedback applicato ai disturbi dello spettro autistico, di  (Assessment-Guided Neurofeedback for Autistic Spectrum Disorder, 2007) giunge a conclusioni simili, e cioè che i deficit sociali delle persone affette da autismo potrebbero essere associate ad una ipoconnettività frontale, e che le terapie e i training con neurofeedback danno risultati positivi nelle funzioni sociali ed emozionali.


Intervista sul Neurofeedback

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